D’AVENZA compie quest’anno 60 anni dalla sua fondazione(1957).
Nacque da una costola inglese in Versilia, grazie a Myron Ackerman figlio del leggendario Simon Ackerman fondatore nel 1935 di Chester Berry.
È una storia di altri tempi che è stata ed è una leggenda nel panorama del luxury fashion sartoriale di tutto il ‘900.

Se non fosse vera, questa storia sembrerebbe nata da una sceneggiatura del maestro del cinema Frank Capra.
Simon Ackerman spedì, negli anni ’50 i figli, in particolare Myron, alla volta di Carrara, noto come l’enclave anarchico italiano per eccellenza.
Ackerman voleva oltre alla produzione basica americana ed a quella britannica inaugurare una nuova via sartoriale, italiana, con il tratto sofisticato appunto del fatto in Italia.
Nel periodo tra le due guerre, negli Stati Uniti gli abiti sartoriali e di sartoria industriale erano tutti gestiti da maestri sarti italiani, immigrati, con l’ausilio di manodopera fondamentalmente composta da “paesani”.
Gli uomini abbienti americani, soprattutto gli italo americani erano elegantissimi e i maestri sarti controllavano stuoli di lavoranti dall’alto di uno sgabello in uno stanzone che conteneva anche 400 o 500 sarti.
Questi nomi erano famosi nella comunità retail tessile americana principalmente governata dalle grandi famiglie ebree anche in Canada.
Di qui l’intuito di Simon Ackerman di sbarcare per primo in territorio italiano completando la sua offerta di brands.
Chiese stranamente consiglio a sindacalisti newyorkesi, legati al partito repubblicano americano.
Per motivi ignoti questi sindacalisti avevano un legame inspiegabile con membri del partito repubblicano italiano, che pur avendo lo stesso nome in insegna, poco avevano da spartire con i repubblicani nostrani capeggiati da Randolfo Pacciardi (famosi i suoi doppiopetto con pochette bianca a cresta che l’avvocato Agnelli riprese negli anni a venire).
Pacciardi aveva il cruccio che nel suo amato distretto carrarese il lavoro mancava e l’allora stabilimento cadetto della fabbrica Abital di Rho era in procinto di essere chiuso.
Con questo strano incrociarsi di eventi, Ackerman, incoraggiato anche da aiuti per la ricostruzione assicurati dal governo italiano, decise di creare una sartoria industriale di lusso italiana in Versilia.
Il nome fu scelto velocemente decidendo che il quartiere più grande di Carrara, Avenza, poteva essere nobilitato con una “d” apostrofata: D’Avenza che aveva un sapore italiano chic e raffinato.
D’Avenza in pochi mesi, grazie anche al rientro in Italia di maestri sarti italo-americani, voluto da Myron Ackerman, divenne la prima sartoria industriale d’Italia.
Gli abiti, o meglio le “spalle piuma” D’Avenza erano il must per tutti i più raffinati clienti italiani.
Addirittura a Napoli, dove la “spalla” di sartoria napoletana imperava, D’Avenza mieteva grandi successi. La “spalla piuma” D’Avenza era costruita con una perizia straordinaria ed era costante nella modellatura, soft ed allo stesso tempo impeccabile nella vestibilità.
Ben presto il successo, soprattutto a Roma, ebbe un’impennata incredibile. Il negozio d’angolo con via Condotti era il ritrovo di tutti i play boys della capitale e di tutti gli attori americani di passaggio a Roma: Cary Grant, Tyron Power, Gregory Peck e Frank Sinatra divennero clienti abituali.
Anche l’emergente e fascinoso Marcello, il Marcello Mastroianni della dolce vita, che da cliente affezionato era diventato uno dei primi testimonial ingaggiati da Myron.
Gli anni a seguire furono un vero delirio internazionale fatto di successi incredibili.
Myron distribuiva intelligentemente l’ottimo vino italiano D’Avenza in tutto il mondo affiancandogli l’altrettanto ottimo whiskey British Chester Berry.
D’Avenza era irraggiungibile nel capospalla mentre Chester Berry primeggiava nei cappotti. E fu un cappotto, di cammello, che fece fare un ulteriore balzo di notorietà a D’Avenza quando Marlon Brando lo indosso sul set di Ultimo Tango a Parigi.
Come tutte le belle storie di successo, anche per D’Avenza iniziò il declino sul finire degli anni settanta, sull’onda del nichilismo imperante e sul rifiuto di simboli borghesi (nelle strade le cravatte venivano tagliate da esaltati). D’Avenza, come altre marche scese in sonno.
Amiamo pensare che si addormentò come la Sleeping Beauty del celeberrimo film di Walt Disney.
Così rimase per molti anni, passando di proprietà, ma senza essere toccata nella sua bellezza di prodotto e soprattutto di distribuzione fino a quando un giovane principe di nome Matteo (Tempia Valente) l’ha ritrovata per riportarla agli splendori di oltre 30 anni fa, quando la fabbrica versiliana contava oltre 400 operai interni ed un indotto di oltre 350 lavoranti esterne.
Oggi più che mai la prima e unica vera sartoria italiana, nata nel 1957 quando tutti gli altri brand erano piccoli o medi laboratori artigianali, riprende autorevolmente il suo posto.
Lo fa in un modo estremamente innovativo, come lo fece 60 anni fa Ackerman. Nelle mani di Matteo e del suo gruppo BRANDAMOUR, in sinergia con i lanifici acquisiti recentemente, sta preparando un gruppo di filiera, che coniuga passato, presente e futuro.
D’Avenza è il gioiello del gruppo BRANDAMOUR e scende nell’arena con prodotti e fogge contemporary senza però dimenticare la mistyque of the brand che le appartiene.

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Last modified: 28 Novembre 2017

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